EDILIZIA E URBANISTICA - DISTANZE LEGALI - Cons. Stato Sez. IV, 14-12-2017, n. 5895

EDILIZIA E URBANISTICA - DISTANZE LEGALI - Cons. Stato Sez. IV, 14-12-2017, n. 5895

Ai fini del computo delle distanze tra pareti finestrate di edifici antistanti assumono rilievo tutti gli elementi costruttivi, anche accessori, qualunque ne sia la funzione, aventi i caratteri della solidità, della stabilità e della immobilizzazione, salvo che non si tratti di sporti e di aggetti di modeste dimensioni con funzione meramente decorativa e di rifinitura, tali da potersi definire di entità trascurabile rispetto all'interesse tutelato dalla norma dell’art. 9 D.M. n. 1444/1968 riguardata nel suo triplice aspetto della sicurezza, della salubrità e dell'igiene (Conferma della sentenza del T.a.r. Liguria, sez. I, 12 marzo 2013, n. 476).Cons. Stato Sez. IV, 14-12-2017, n. 5895

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8143 del 2013, proposto dal Comune della Spezia, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano Carrabba, Ettore Furia e Maria Teresa Barbantini, indi dagli avvocati Stefano Carrabba, Ettore Furia, Marcello Puliga e Giovanni Corbyons, con domicilio eletto presso quest'ultimo difensore in Roma, via Cicerone, 44;

contro

G.M. e A.B., rappresentate e difese dagli avvocati Federico Tedeschini e Daniele Granara, indi dall'avvocato Rino Tortorelli, con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Tiziana Cruscumagna in Roma, piazza SS. Apostoli, 81;

D.G.A.M., rappresentata e difesa dagli avvocati Federico Tedeschini e Daniele Granara, indi dall'avvocato Rino Tortorelli, indi ancora dall'avvocato Oreste Agosto, con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Adriano Tortora in Roma, via Cicerone, 49;

R.M., rappresentata e difesa dagli avvocati Daniele Granara e Federico Tedeschini, indi dagli avvocati Francesco Ferroni e Rosanna Serafini, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo difensore in Roma, via Sabotino, 46;

A.M., rappresentato e difeso dagli avvocati Daniele Granara e Federico Tedeschini, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo difensore in Roma, largo Messico, 7;

nei confronti di

S.V.I. s.r.l., Provincia di La Spezia, R.F.I. - R.F.I. s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., G.P. non costituiti in giudizio;

sul ricorso numero di registro generale 8532 del 2013, proposto dalla società S.V.I. s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Salvatore Bellomia, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo difensore in Roma, via Gradisca, 7;

contro

G.M. e A.B., rappresentate e difese dagli avvocati Federico Tedeschini e Daniele Granara, indi dall'avvocato Rino Tortorelli, con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Tiziana Cruscumagna in Roma, piazza SS. Apostoli, 81;

D.G.A.M., rappresentata e difesa dagli avvocati Federico Tedeschini e Daniele Granara, indi dall'avvocato Rino Tortorelli, indi ancora dall'avvocato Oreste Agosto, con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Adriano Tortora in Roma, via Cicerone, 49;

R.M., rappresentata e difesa dagli avvocati Daniele Granara e Federico Tedeschini, indi dagli avvocati Francesco Ferroni e Rosanna Serafini, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo difensore in Roma, via Sabotino, 46;

A.M., rappresentato e difeso dagli avvocati Daniele Granara e Federico Tedeschini, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo difensore in Roma, largo Messico, 7;

nei confronti di

Comune di La Spezia, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano Carrabba, Ettore Furia e Maria Teresa Barbantini, indi dagli avvocati Stefano Carrabba, Ettore Furia, Marcello Puliga e Giovanni Corbyons, con domicilio eletto presso quest'ultimo difensore in Roma, via Cicerone, 44;

Provincia di La Spezia, R.F.I. - R.F.I. s.p.a., Autorità di Bacino della Regione Liguria, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., non costituiti in giudizio;

per la riforma

quanto a entrambi i ricorsi

della sentenza del T.A.R. per la Liguria, sezione I, 12 marzo 2013, n. 476.

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di G.M., D.G.A.M., A.B., A.M. e R.M. nonché del Comune di La Spezia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2017 il consigliere Giuseppe Castiglia;

Uditi per le parti gli avvocati Carrabba, Corbyons, Tortorelli, Agosto e Barletta, su delega dell'avvocato Bellomia;

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1. I signori G.M., D.G.A.M., A.B., A.M. e R.M., proprietari di immobili siti in via S.V., nel Comune di La Spezia, hanno impugnato il permesso di costruire n. 1320 del 28 febbraio 2012, rilasciato dal Comune alla società S.V.I. s.r.l. per la demolizione, l'arretramento e la ricostruzione di un immobile, a suo tempo realizzato in base ai permessi di costruire n. 506 del 17 dicembre 2009 e n. 24 del 24 maggio 2010, n. 649, annullati dal T.A.R. per la Liguria, sez. I, con sentenza 20 luglio 2011, n. 1148.

2. Con sentenza 12 marzo 2013, n. 476, il medesimo il T.A.R. per la Liguria, sez. I:

a) ha accolto il primo motivo del ricorso, concernente la mancanza dell'autorizzazione paesaggistica con riguardo al vincolo derivante dalla distanza inferiore di 150 metri tra il luogo dell'intervento edilizio e i torrenti Calcinara e Piaggia, censiti nell'elenco provinciale delle acque pubbliche;

b) ha esaminato espressamente "anche per fornire adeguate indicazioni per l'eventuale prosieguo dell'azione amministrativa" gli altri motivi e, di questi, ha accolto le censure relative a: I) la violazione della distanza minima di dieci metri tra le pareti finestrate, dovendosi tenere conto anche degli aggetti in muratura, con conseguente annullamento anche dell'art. 4 delle N.C.C. al P.U.C. nelle parti in cui dispongono che "le distanze tra i fabbricati sono calcolate sulla proiezione dei vari fronti del corpo di fabbrica" e "le distanze dai confini si misurano a raggio dal limite esterno dei balconi e delle scale a giorno se hanno un aggetto superiore a ml. 1,40; dal muro degli edifici negli altri casi" (dodicesimo e tredicesimo motivo); II) la violazione della disciplina sul rispetto delle barriere architettoniche (ventunesimo motivo);

c) ha rigettato la domanda di risarcimento del danno sia per mancanza di prova del pregiudizio lamentato, sia perché l'accoglimento in sede di appello della domanda cautelare avrebbe sospeso l'attività asseritamente lesiva della situazione giuridica azionata;

d) ha condannato le parti resistenti al pagamento delle spese di giudizio.

3. Il Comune ha interposto appello avverso la sentenza (ricorso n.r.g. 2013/8143) sostenendo che:

a) per l'area oggetto dell'intervento varrebbe la disciplina derogatoria prevista dall'art. 142, comma 2, lett. c), del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (codice dei beni culturali e del paesaggio; d'ora in poi: codice), in quanto al 6 settembre 1985 (data di entrata in vigore della c.d. "legge Galasso") il Comune non sarebbe stato dotato di una pianificazione delimitata con la zonizzazione ai sensi del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 (adottata nel 1983 ma entrata in vigore solo nel 1987), l'area sarebbe rientrata nella perimetrazione del centro storico ai sensi dell' articolo 18 della L. 22 ottobre 1971, n. 865 e sarebbe stata di fatto urbanizzata, rispondendo ai requisiti di densità della zona B prevista dal d.m.;

b) in alternativa, opererebbe la deroga prevista dalla lett. a) del medesimo comma, poiché da un certificato di destinazione urbanistica in atti risulterebbe che al 1985, sulla base del P.T.C.P., l'area sarebbe stata classificata come area urbana, ricadente in parte in zona B e in parte in zona F;

c) il primo giudice non avrebbe tenuto conto del disposto dell'art. 76, comma 2, della L.R. Liguria 6 giugno 2008, n. 16, che esclude dal computo delle distanze balconi e aggetti analoghi quando non superino la misura di 1,50 metri; l'art. 30 del D.L. 21 giugno 2013, n. 69(convertito, con modificazioni, nella L. 9 agosto 2013, n. 98), nell'introdurre nel D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (testo unico dell'edilizia) l'art. 2 bis e consentire in tal modo alle Regioni di dettare disposizioni in deroga al D.M. n. 1444 del 1968, avrebbe inteso anche "ratificare" le numerosi leggi regionali recanti deroghe in tal senso e conservare l'efficacia delle conseguenti norme di piano;

d) sul ritenuto mancato rispetto della disciplina in tema di barriere architettoniche, la sentenza impugnata sarebbe incorsa in un errore di fatto, non considerando la relazione tecnica del progettista, prodotta in atti, che smentirebbe l'asserita violazione delle prescrizioni tecniche ministeriali.

4. Gli originari ricorrenti si sono costituiti in giudizio per resistere all'appello e, con successivo appello incidentale, hanno riproposto alcuni dei motivi del ricorso di primo grado non accolti dal Tribunale territoriale.

5. Successivamente gli appellati, ad eccezione del signor A.M., con atti separati (da un lato, le signore G.M., D.G.A.M., A.B.; dall'altro, la signora R.M.) si sono costituiti in giudizio con nuovi difensori.

6. Svolgendo distintamente analoghe argomentazioni, gli appellati hanno escluso che il permesso di costruire oggetto del presente giudizio abbia integralmente sostituito quello impugnato in origine, in quanto sembrerebbe volto a consentire le ulteriori soluzioni progettuali già realizzate e non anche a superare l'illegittimità dell'intervento già compiuto. Lo stesso sarebbe a dirsi per il quarto permesso di costruire n. 2.233 del 13 giugno 2015, solo inteso ad assicurare, previo rilascio di una autorizzazione paesaggistica postuma, la realizzabilità dell'edificio in questione. Nel concludere che il progetto assentito richiederebbe una valutazione complessiva, hanno replicato quindi ai motivi dell'appello comunale.

7. Il Comune ha sostenuto l'inammissibilità o l'improcedibilità dei gravami incidentali in considerazione del rilascio del nuovo titolo edilizio. Ha ritenuto invece di mantenere un proprio autonomo interesse alla decisione di merito, ma solo in relazione ai punti dell'autorizzazione paesaggistica e del rilievo dei balconi nel computo delle distanze.

8. Le parti hanno in seguito depositato altre memorie formulate concernenti tutto il complesso contenzioso intercorrente fra di loro (oltre al presente appello, i ricorsi n.r.g. 2012/2298, n.r.g. 2013/8532, n.r.g. 5219/2016).

9. Avverso la sentenza n. 476/2013 ha interposto appello anche la società S.V.I. (ricorso n.r.g. 2013/8532), proponendo tre censure analoghe a quelle svolte dal Comune (e, quanto al secondo e al terzo motivo, rinnovando un'eccezione di inammissibilità già opposta in primo grado e non accolta del T.A.R.) e, con domanda cautelare, chiedendo la sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza impugnata.

10. I ricorrenti in primo grado si sono costituiti in giudizio per resistere all'appello.

11. Il Comune si è costituito in giudizio per aderire all'appello.

12. Con ordinanza 19 dicembre 2013, n. 5075, la Sezione ha respinto la domanda cautelare.

13. Gli appellati hanno impugnato la sentenza con appello incidentale per riproporre alcuni dei motivi del ricorso di primo grado non accolti dal Tribunale territoriale.

14. Come nel precedente, anche in questo giudizio gli appellati hanno successivamente diversificato le proprie posizioni processuali.

15. Con memoria depositata il 3 giugno 2016 la società, avuto riguardo all'avvenuto rilascio del nuovo permesso di costruire n. 2.233 del 13 giugno 2015, ha chiesto sia dichiarata l'improcedibilità dell'appello principale e di quello incidentale per sopravvenuta carenza di interesse.

16. Gli appellati hanno sviluppato le proprie difese e si sono opposti alla declaratoria di improcedibilità del proprio ricorso incidentale - sulla quale la società ha insistito - con gli argomenti sopra ricordati.

17. Il Comune ha dichiarato di convenire sul difetto di interesse alla decisione sull'appello incidentale, che tuttavia non farebbe venir meno il proprio interesse alla decisione sui primi due motivi del proprio gravame.

18. Con ordinanza 15 maggio 2017, n. 2273, la Sezione, riuniti gli appelli, ha rinviato la discussione dell'appello per connessione con il ricorso n.r.g. 2298/2012, del quale ha contestualmente dichiarato l'interruzione a seguito dell'avvenuta scomparsa dell'appellato signor A.M., comunicata all'udienza pubblica del 4 maggio.

19. Con atti depositati il 7 e l'8 luglio 2017, la società S.V. e il Comune di La Spezia hanno riassunto il giudizio.

20. Le signore G.M., D.G.A.M. e A.B. si sono costituite nel giudizio di appello riassunto.

21. A seguito della dismissione del mandato da parte del precedente patrocinatore, la signora D.G.A.M. si è costituita in giudizio con un nuovo difensore.

22. Con memoria di replica depositata il 14 novembre scorso, unica per i quattro appelli connessi, la signora D.G.A.M. ha lamentato la violazione del proprio diritto di difesa, ha proposto una istanza istruttoria, ha sostenuto l'irricevibilità, l'inammissibilità, l'improcedibilità, l'infondatezza degli appelli delle controparti e la fondatezza dei propri.

23. All'udienza pubblica del 5 dicembre 2017, gli appelli sono stati nuovamente chiamati e trattenuti in decisione.

24. In via preliminare, il Collegio:

a) conferma la riunione degli appelli, già disposta con l'ordinanza collegiale n. 2273/2017, trattandosi di ricorsi che riguardano la stessa sentenza (art. 96, comma 1, c.p.a.);

b) osserva che la ricostruzione in fatto, sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non è stata contestata dalle parti costituite ed è comunque acclarata dalla documentazione versata in atti. Di conseguenza, vigendo la preclusione posta dall'art. 64, comma 2, c.p.a., devono darsi per assodati i fatti oggetto di giudizio;

c) quanto all'ultima memoria della signora D.G.A.M., rileva che non sussistono le asserite violazioni del diritto di difesa e che non occorre dar corso ad alcuna istanza istruttoria.

15. (Ricorso n.r.g. 2013/8143).

15.1. In ordine al primo motivo dell'appello, il Collegio rileva che - come risulta dai documenti in atti - il Comune ha adottato la Delib. n. 40 del 2014, recante la variante di aggiornamento al P.U.C. ai sensi dell'art. 43 della L.R. n. 36 del 1997 per l'apposizione del vincolo ex art. 142 del codice nel territorio comunale, al fine di individuare le aree escluse dal vincolo in questione.

15.1.1. Tuttavia non sono noti gli sviluppi successivi del procedimento.

15.1.2. Consta che la delibera è stata impugnata dai resistenti sia nell'ambito del contenzioso, distinto, ma parallelo, relativo al quarto permesso di costruire rilasciato alla società (n.r.g. 424/2015: v. la memoria depositata il 6 giugno 2016), sia con autonomo ricorso (n.r.g. 87/2015).

15.1.3. Inoltre, la relazione illustrativa richiama proprio "recente sentenza del T.A.R. Liguria e del Consiglio di Stato, relativamente ad un progetto di nuova edificazione in loc. S.V.", cosicché è evidente che essa è sostanzialmente attuativa di tali decisioni e il Comune conserva un interesse a sapere se, alla data di adozione del provvedimento impugnato, sull'area in questione gravasse o n. un vincolo paesaggistico a norma dell'art. 142 del codice.

15.2. In punto di fatto, non è contestato che l'area oggetto dell'intervento sia a distanza inferiore di 150 metri dai torrenti Calcinara e Piaggia. Gli appellanti principali sostengono tuttavia l'inesistenza del vincolo paesaggistico richiamando a sostegno della tesi le disposizioni derogatorie recate dalla lett. c) o dalla lett. a) dell'art. 142.

15.2.1. La lett. c) esclude il vincolo per le aree che, nei comuni sprovvisti di strumenti urbanistici, alla data del 6 settembre 1985 ricadevano nei centri edificati perimetrati ai sensi dell'art. 18 della citata L. n. 865 del 1971.

15.2.2. Secondo l'Amministrazione, la deroga opererebbe nel caso concreto, perché alla data indicata l'ente (ove vigeva un P.R.G. risalente al 1961, mentre il nuovo P.R.G. sarebbe stato adottato nel 1986 e approvato nel 1990) non sarebbe stato dotato di una pianificazione delimitata con la zonizzazione ex D.M. n. 1444 del 1968 e l'area sarebbe ricaduta nel centro urbano perimetrato ai sensi dell'art. 18 della legge citata secondo la carta di perimetrazione adottata con delibera del Consiglio comunale n. 180 del 14 novembre 1983, divenuta esecutiva il 7 febbraio 1984.

15.2.3. Il quesito interpretativo che si pone riguarda il punto del se, nella lett. c), l'espressione "strumenti urbanistici" vada intesa in relazione a quelli previsti dal D.M. n. 1444 del 1968 come è nelle lettere a) e b) ovvero come, più in generale, a strumenti urbanistici, qualunque essi siano.

15.2.4. Il Collegio ritiene di aderire alla seconda alternativa.

15.2.5. Da un lato, sul piano sistematico, l'attribuzione di un valore discriminante all'inserimento dell'area nei centri storici perimetrati si giustifica proprio nell'assenza delle previsioni di uno strumento urbanistico, generale o particolareggiato, di cui il Comune fosse comunque provvisto (cfr. Cass. pen., sez. III, 8 giugno 2010, n. 27261). Non a caso, già all'epoca dell'entrata in vigore della L. n. 865 del 1971, l'efficacia della deliberazione adottata ex art. 18 presupponeva che il Comune fosse privo di atti di pianificazione territoriale, ai quali invece - e non alla delibera di individuazione dei centri edificati - si sarebbe dovuto fare riferimento ai fini previsti dall'art. 16 della stessa legge (cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 maggio 1982, n. 428).

15.2.6. Dall'altro - come ha sottolineato il T.A.R. in termini condivisibili - la natura sensibile degli interessi tutelati e la correlata esigenza di interpretare in senso restrittivo e non estensivo una disposizione di deroga (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 13 aprile 2010, n. 2056; Corte cost., 23 marzo 2012, n. 66, scorge nella previsione dell'art. 142 "una rigorosa tipizzazione di tassative ipotesi vincolistiche, alla quale corrisponde una altrettanto dettagliata previsione di casi, ugualmente nominati e tassativi, di deroga") portano a concludere che la preesistenza di una pianificazione urbanistica di qualunque tipo, comunque strutturata e anche se diversa da quella ex D.M. n. 1444 del 1968, non consente di rendere applicabile la norma della lett. c).

15.3. In alternativa, l'Amministrazione prospetta l'applicabilità della deroga ex lett. a) (profilo questo non esaminato dal T.A.R. e - pare - ad esso nemmeno sottoposto). Il vincolo non sussisterebbe sull'area, che alla medesima data sarebbe rientrato in zona territoriale omogenea A o B ai sensi del d.m. più volte citato.

15.3.1. L'argomento è infondato in quanto:

a) il certificato di destinazione urbanistica in atti attesta che, al 6 settembre 1985, l'area era classificata in zona residenziale C e rinvia per i relativi contenuti normativi alle N.T.A. del P.R.G. vigente all'epoca;

b) l'art. 5 delle N.T.A. espone una zonizzazione diversa ed eterogenea rispetto a quella dell'art. 2 del D.M. n. 1444 del 1968;

c) quelle sub C sono "zone miste residenza e lavoro";

d) diversamente da quanto sostiene l'ente l'appellante (pag. 7 della memoria conclusionale del Comune depositata il 27 marzo 2017), non appare che tale zonizzazione sia assimilabile alla zona B del D.M. n. 1444 del 1968 e non piuttosto alla zona C.

15.4. Il Comune richiama inoltre le previsioni del piano territoriale di coordinamento paesistico - P.T.C.P., adottato ai sensi dell'art. 143 del codice, nel quale l'area in questione è stata classificata come "area urbana: tessuti urbani". Per queste parti del territorio, secondo l'art. 38 delle N.T.A., "prevalgono, rispetto agli obiettivi propri del Piano, le più generali problematiche di ordine urbanistico", cosicché "le stesse non sono assoggettate a specifica ed autonoma disciplina paesistica".

15.4.1. Tuttavia il P.T.C.P. è stato adottato nel 1986 e approvato nel 1990; dunque è posteriore alla data di riferimento dell'art. 142 del codice e non può essere utilmente invocato dall'Amministrazione appellante (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 1 aprile 2011, n. 2015).

15.5. L'argomento da ultimo utilizzato dal Comune (la censura originaria sarebbe inammissibile non essendo stato impugnato l'art. 38 delle N.T.A. al P.T.C.P.: pag. 5 della memoria di replica depositata il 10 aprile 2017) è di per sé un motivo di appello nuovo, che sarebbe come tale inammissibile ma va esaminato poiché si tratta di circostanza rilevabile d'ufficio. Esso peraltro non coglie nel segno perché la disposizione delle N.T.A. ha natura regolamentare in quanto disciplina implicitamente l'esercizio dell'attività edificatoria e, in applicazione del criterio della gerarchia delle fonti, il giudice amministrativo può sempre disapplicare la norma di rango secondario che confligga con il disposto legislativo primario, anche se non ritualmente impugnata, come è nel caso di specie (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 6 dicembre 2013, n. 5822; sez. V, 28 settembre 2016, n. 4009; sez. IV, 8 febbraio 2016, n. 475).

15.6. Va aggiunto, per completezza, che non potrebbe neppure valere la ragione di deroga che la lett. b) dell'art. 142, comma 2, riferisce alle zone territoriali omogenee diverse da quelle A e B, perché la deroga è limitata "alle parti di esse ricomprese in piani pluriennali di attuazione, a condizione che le relative previsioni siano state concretamente realizzate" (come è nella controversia decisa da Cons. Stato, sez. IV, 16 aprile 2015, n. 1957) e tale circostanza non è neppure dedotta.

15.7. In definitiva, sull'area oggetto dell'intervento edilizio sussisteva il vincolo paesaggistico.

15.8. Il primo motivo dell'appello va perciò respinto.

16. Quanto al secondo motivo dell'appello, su cui il Comune insiste, va premesso che è infondata l'eccezione di difetto di legittimazione e interesse a far valere tale censura in primo grado, fatta valere dalla società anche se successivamente venuta meno a seguito della dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse, ma comunque rilevabile d'ufficio.

16.1. Come ha correttamente osservato il Tribunale regionale, secondo l'orientamento giurisprudenziale consolidato i soggetti stabilmente insediati sulla porzione di territorio su cui ricadono iniziative modificative del suo assetto (c.d. vicinitas) sono legittimati a impugnare gli atti reputati in contrasto con disposizioni che dettano limiti sul corretto utilizzo del territorio e che si reputano in danno delle posizioni di interesse legittimo dei residenti (cfr. per tutte Cons. Stato, sez. VI, 18 aprile 2013, n. 2153; sez. III, 2 ottobre 2015, n. 4612; le decisioni di Cons. Stato, sez. IV, 24 gennaio 2011, n. 486, e 28 marzo 2011, n. 1868, citate dalla società appellante a sostegno della propria tesi, non sono in termini). Anche al di là della natura non solo privata, ma anche pubblica degli interessi tutelati dalle norme in tema di distanze, già di per sé idonea a fondare la legittimazione in capo ai soggetti legittimati in generale a impugnare i titoli edilizi, la lesione dell'interesse sostanziale è comunque implicita nell'incremento del carico urbanistico della zona interessata che la nuova edificazione comporta e dell'impatto sull'ambiente circostante, anche alla luce delle caratteristiche dell'intervento (fabbricato di quattro piani fuori terra con numerosi appartamenti di abitazione, uffici e negozi).

16.2. Nel merito della questione, la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato è nel senso che:

a) la distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, prevista dall'art. 9del D.M. n. 1444 del 1968, va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale, prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela (cfr. sez. IV, 5 dicembre 2005, n. 6909; sez. IV, 2 novembre 2010, n. 7731);

b) ai fini del computo delle distanze assumono rilievo tutti gli elementi costruttivi, anche accessori, qualunque ne sia la funzione, aventi i caratteri della solidità, della stabilità e della immobilizzazione (quali nella specie i balconi), salvo che non si tratti di sporti e di aggetti di modeste dimensioni con funzione meramente decorativa e di rifinitura, tali da potersi definire di entità trascurabile rispetto all'interesse tutelato dalla norma riguardata nel suo triplice aspetto della sicurezza, della salubrità e dell'igiene (cfr. sez. V, 19 marzo 1996, n. 268; sez. IV, n. 7731/2010, cit.);

c) gli sporti, cioè le sporgenze da non computare ai fini delle distanze perché non attinenti alle caratteristiche del corpo di fabbrica che racchiude il volume che si vuol distanziare, sono i manufatti come le mensole, le lesene, i risalti verticali delle parti con funzione decorativa, gli elementi in oggetto di ridotte dimensioni, le canalizzazioni di gronde e i loro sostegni, non invece le sporgenze, anche dei generi ora indicati, ma di particolari dimensioni, che siano quindi destinate anche ad estendere ed ampliare per l'intero fronte dell'edificio la parte utilizzabile per l'uso abitativo (cfr. sez. IV, 5 dicembre 2005, n. 6909; sez. IV, n. 7731/2010, cit.).

16.3. Per dire legittima la norma di piano impugnata, sia il Comune che la società hanno opposto la diversa previsione nel computo delle distanze, circa i balconi, recata dall'art. 76, comma 2, della L.R. n. 16 del 2008, e la disposizione dell'art. 2 bis del t.u. dell'edilizia, introdotta dall'art. 30 del D.L. n. 69 del 2013.

16.4. Quanto al primo profilo, va richiamata la costante giurisprudenza costituzionale secondo cui l'art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 ha un valore precettivo e inderogabile e prevale sulla disciplina regionale salvo che questa preveda deroghe al regime generale delle distanze nel senso di porre limiti maggiori, nel rispetto del criterio di ragionevolezza, o altrimenti - ai sensi dell'ultimo comma, secondo periodo, del comma 9 - se "inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio" (cfr. Corte cost., sentenze 16 giugno 2005, n. 232; 21 maggio 2014, n. 134; 15 luglio 2016, n. 178; 20 luglio 2016, n. 185; 3 novembre 2016, n. 231; 24 febbraio 2017, n. 41).

16.5. La legge regionale, di apparente più ampia latitudine, va interpretata e applicata in conformità del d.m., pena altrimenti la sue illegittimità costituzionale, e quindi può consentire distanze inferiori "nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche" (art. 9, ultimo comma).

16.6. L'art. 15, comma 6, delle N.C.C., nell'ambito delle schede dell'elaborato P7 (che viene in questione nella vicenda), distingue fra parametri urbanistici ed edilizi e schema di orientamento progettuale, per assegnare valore prescrittivo agli uni e valore indicativo all'altro.

16.7. Poiché le schede dell'elaborato non sono vincolanti, non possono essere equiparate, sotto il profilo di specie, ai piani particolareggiati o alle lottizzazioni convenzionate con previsioni planivolumetriche contemplati dall'art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968.

16.8. Sotto il profilo in esame, la censura è infondata e va perciò respinta.

16.9. Egualmente infondato è il secondo profilo dedotto, poiché l'art. 2 bis del t.u. - come afferma la Corte costituzionale (sentenza n. 231/2016, cit.) - non ha carattere sostanzialmente innovativo, né funzione di ratifica (questa è la tesi del Comune), ma si limita a recepire la giurisprudenza consolidata della Corte stessa.

17. Con la memoria depositata il 27 marzo 2017, il Comune non ha insistito sul terzo motivo dell'appello (contestata violazione della normativa concernente le barriere architettoniche), che va dunque dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

18. (Ricorso n.r.g. 2013/8532).

L'appello principale della società S.V. è improcedibile per esplicita dichiarazione dell'interessata, che ha visto soddisfatto il proprio interesse ottenendo, in un distinto procedimento, il bene della vita cui aspirava, cioè il permesso di costruire (v. la memoria di replica depositata il 12 aprile 2017).

18. Gli appelli incidentali dei privati, proposti in entrambi gli appelli riuniti, sono autonomi e non condizionati.

18.1. Il Collegio ha ben presente l'indirizzo di questo Consiglio di Stato, secondo il quale occorre molta cautela prima di dichiarare la sopravvenuta carenza di interesse perché una pronunzia processuale di tale contenuto, se non adeguatamente giustificata, rischierebbe di risolversi in un sostanziale diniego di giustizia. Anche un interesse solo morale della parte giustificherebbe l'esigenza di una decisione di merito (giurisprudenza costante: cfr. da ultimo sez. IV, 15 settembre 2015, n. 4307; sez. V, 6 novembre 2011, n. 5070; sez. V, 27 novembre 2015, n. 5379; sez. IV, 14 dicembre 2015, n. 5663; sez. IV, 14 marzo 2016, n. 991).

18.2. Tuttavia, nel caso di specie (e salvo quanto subito si dirà), merita di essere accolta l'eccezione di improcedibilità formulata dalle controparti, posto che gli originari ricorrenti hanno ottenuto il bene della vita che perseguivano (l'annullamento del titolo impugnato), gli appelli principali sono stati respinti ed essi non mantengono alcun percepibile rilevante interesse all'annullamento di un permesso di costruire comunque non più in vigore in quanto sostituito dal nuovo titoli accordato dal Comune con il permesso n. 2.233/2015.

18.3. Non valgono in contrario gli argomenti degli appellanti incidentali. Infatti, le tesi che con il rilascio dei successivi permessi il Comune non abbia attivato un nuovo e completo procedimento per il rilascio del titolo, ma solo un procedimento di riesame per emendare i vizi originari, o che essi non avrebbero efficacia sanante, non definendosi in sanatoria, sono suggestive ma non concludenti, in quanto l'ultimo permesso rilasciato (n. 2.233 in data 13 giugno 2015) espressamente copre le opere già eseguite e quelle ancora da compiere.

18.4. D'altronde, a ritenere diversamente, si dovrebbe dire che la vicenda edificatoria sarebbe governata dalla risultante di quattro permessi di costruire, in una sorta di inedita fattispecie a formazione progressiva. Dal che poi dovrebbe anche discendere che l'ipotetico annullamento di uno dei permessi del 2009, del 2010 o del 2012 comporterebbe la caducazione del titolo del 2015; conclusione questa alla quale nessuno degli appellanti incidentali si spinge, sicché la sua palese insostenibilità dimostra l'infondatezza della tesi da cui dovrebbe logicamente discendere.

18.5. Infine, l'ultimo permesso non si pone come atto adottato in mera esecuzione delle sentenze del T.A.R. ricordate, cosicché resa insensibile agli esiti degli appelli pendenti negli altri giudizi.

19. Sul piano dell'interesse, l'appello incidentale sopravvive all'accoglimento dell'eccezione di improcedibilità nella parte in cui, con l'ultimo motivo, ripropone la domanda risarcitoria, non accolta dal T.A.R.

19.1. In questa parte l'appello incidentale è infondato. Secondo una giurisprudenza ormai consolidata, nell'azione di responsabilità per danni il principio dispositivo, sancito in generale dall'art. 2697, primo comma, c.c., opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell'azione di annullamento (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2011, n. 2675; sez. IV, 7 marzo 2013, n. 1406; sez. V, 13 gennaio 2014, n. 63; sez. V, 10 febbraio 2015, n. 675; sez. V, 25 marzo 2016, n. 1239; sez. IV, 28 dicembre 2016, n. 5497). Gli appellanti non hanno dato prova del danno sofferto, declinato peraltro in termini generici, mentre i criteri di liquidazione in via equitativa valgono per il quantum del risarcimento, ma presuppongono che sia stato provato l'an, il che nella specie non è avvenuto. Quanto agli esborsi relativi al giudizio di primo grado, essi rientrano nelle spese di lite di cui che il T.A.R., con statuizione non impugnata nell'importo liquidato, ha fatto carico solidale alle parti resistenti.

20. Dalle considerazioni che precedono discende che, in ordine agli appelli riuniti:

a) il primo e il secondo motivo dell'appello principale del Comune sono infondati, improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse è il terzo;

b) l'appello principale della società S.V.I. è improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse;

c) gli appelli incidentali degli originari ricorrenti sono in parte improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse, in parte infondati.

21. Ne segue la conferma della sentenza della sentenza impugnata.

22. Considerata la complessità della vicenda e l'esito della controversia nel senso della parziale reciproca soccombenza, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti, come in epigrafe proposti, secondo quanto meglio esposto in motivazione:

in parte respinge e in parte dichiara improcedibile l'appello principale del Comune;

dichiara improcedibile l'appello principale della società S.V.I.;

in parte dichiara improcedibile e in parte respinge gli appelli incidentali;

compensa fra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2017 con l'intervento dei magistrati:

Antonino Anastasi, Presidente

Fabio Taormina, Consigliere

Carlo Schilardi, Consigliere

Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore

Luca Lamberti, Consigliere


Avv. Francesco Botta

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